Museo Civico Luigi Varoli Cotignola

Storie di villani, da la Ruscaia alla cartapesta contemporanea

A cura di Arianna Zama e Gioele Melandri

Dal 26 marzo al 1° maggio 2022
inaugurazione sabato 26 marzo ore 16.30

Aperture e orari:
dal martedì al giovedì (su prenotazione) 8.30 – 12.30
venerdì 16.30 – 18.30 
sabato domenica e festivi 10 – 12 e 15.30 – 18.30 

l’ingresso è gratuito, sono necessari il green-pass rafforzato e la mascherina ffp2 

Per informazioni:
0545 908 879 / 908810 | 320 43 64 316 
museovaroli@comune.cotignola.ra.it

Una mostra che cerca di restituire una mappa riguardo le manifestazioni artistiche legate alla tecnica della Una mostra che cerca di restituire una mappa riguardo le manifestazioni artistiche legate alla tecnica della cartapesta nell’arte contemporanea, esponendo le opere di una selezione di quattro artisti viventi italiani, collegandosi alla storia dell’alto artigianato artistico emiliano-romagnolo, di cui Luigi Varoli è stato un importante esecutore. La suggestione che collega le opere selezionate, oltre alla tecnica esecutiva, riguarda la figura del villano, la vita di campagna, le tradizioni popolari e di come esse interagiscano con l’avanzare della società globalizzata, temi da cui già Varoli era suggestionato. Sarà anche una mostra sullo scarto e sugli scartati, sull’effimero e su ciò che è destinato inevitabilmente alla rovina. Una mostra di cumuli di colla, carta e stracci.

Questa mostra nasce, come in molti casi, dalla necessità di colmare un lungo silenzio da parte della critica contemporanea riguardo una tecnica tanto antica e prestigiosa quanto dimenticata; ovvero quella della cartapesta. Da sempre però il museo Varoli si è distinto nella valorizzazione critica di questo medium, magistralmente impiegato nel corso della prima metà del secolo scorso dal maestro cotignolese Luigi Varoli per la realizzazione di maschere, sculture e carri allegorici legati ai festeggiamenti della segavecchia. Ed è stato proprio  uno di questi ultimi ad averci guidato nella costruzione di questo evento espositivo, ovvero Ruscaia, sfilata mascherata concepita per l’anno 1948 dove all’interno di una gigantesca botte di vino facevano bella mostra di se le caricature dei principali personaggi che animavano con le proprie avventure le strade del paese. Maroc, Rusita e la Flemma sono solo alcuni degli abitanti della “pattumiera” concepita dal maestro Varoli, le cui caricature in cartapesta sono ancora visibili presso le sale superiori di palazzo Sforza. In questi ritratti, tanto grotteschi quanto celebrativi, le pieghe vibranti della carta divengono rughe, occhi, nasi e bocche, capaci di esprimere efficacemente la sensibilità e il temperamento della gente che abitava – e abita – queste terre, capaci di esorcizzare le più terribili sofferenze con uno sguardo pronunciato, una battuta sagace e un  bicchiere di vino. Già da diverso tempo ci eravamo accorti di come la poetica Varoliana legata a questa tecnica, che già da molti secoli contava in regione importantissimi artisti che ne avevano fatto uso,  risultasse in qualche modo profetica rispetto le più recenti manifestazioni artistiche contemporanee ad essa legata. Il temi del villano, della fragilità della materia, del recupero e dello scarto, della maschera, del feticcio, del fantoccio e la malinconia per un mondo contadino destinato all’estinzione sono tutte riflessioni già presenti nel fare artistico del maestro Cotignolese, ma che trovano piena realizzazione nell’operato dei principali interpreti contemporanei che usano questa tecnica come medium comunicativo. La maschera e il pupazzo in cartapesta divengono  così il simbolo di una  società civile contemporanea sempre più tassidermizzata e omologata,  di cui le opere in mostra offrono una tragicomica rappresentazione. Osservando questi oggetti, tra una risata ed un cenno di stupore, lo spettatore si ritrova immerso in un paese di sguardi, capace di rivelare le fragilità della condizione contemporanea e dove la maschera, da sempre simbolo per eccellenza dell’occultazione e della menzogna, diviene il talismano attraverso cui scoprire l’insensatezza e la fragile instabilità di ciò che comunemente viene chiamata esistenza, nella speranza che essa possa essere sempre meno simile a quella di questi cumuli di carta e colla.

Gli artisti

Matilde Baglivo (Ivrea, 1992)

La ricerca di Matilde verte sulla commistione di sorriso ed inquietudine, sul filo conduttore del facciario. Sguardi, bocche, narici pronunciate che solcano i visi di quasi fantasmi, sconosciuti o forse defunti. Il ricordo e la memoria, il tentativo del conservare le tracce di chi ci è passato accanto. Incontri inaspettati. 
Realizza maschere e pitture, installazioni multi-materiche. Comunica con veloci foto amatoriali delle sorte di tableau vivant quasi segreti e agresti in cui i suoi personaggi vengono indossati e prendono vita. 
Frequenta prima l’Accademia Albertina di Torino, per poi approdare a Bologna, dove studia pittura. Negli anni ha realizzato numerosi progetti e ha preso parte a molteplici mostre collettive. Il suo studio è una sorta di wunderkammer della cartapesta. Linguaggio che negli ultimi anni ha decretato come prediletto. Immense creature accolgono chiunque vi entri. Colori, fogli di giornale, colle. È abitato da molte presenze.
Si definisce “un po’ punk”.

Filippo La Vaccara (Catania, 1972)

Le opere di Filippo sono avvolte dalla patina di una nostalgia quasi bucolica. Lunghi silenzi, attese, illuminate da un sole pallido. Azzurri che richiamano un mare lontano. Figure che si muovono letargiche nelle grandi tele dipinte. Le sue creature prendono vita con la ceramica e la cartapesta che contamina la sua ricerca, divenendone sempre più tratto distintivo e caratteristico. 
Non è forse vero che gli strati e le pelli della pittura, della ceramica smaltata e della cartapesta hanno qualcosa in comune? 
Nel suo fare troviamo ritratti, tracce di forse conoscenti, volti un po’ dimentichi e lontani. Che se opportunamente indossati assumono allo stesso tempo connotati vitali e statuari. Ancora l’elemento del gioco e un retroscena bambinesco. Lo sguardo e lo stupore.
La distruzione poi, inevitabile destino, tragico e poetico. La cartapesta è effimera e dunque documenta, tiene traccia di ciò che è stato. Foto ricordo.
(Ph: Dino Vittimberga e Mercedes Auteri)

Giovanni Lanzoni (Fusignano, 1979)

Giovanni cede al fascino della carta sin da subito. A partire dagli anni dell’accademia, che frequenta a Ravenna nel corso di Pittura. Realizza incredibili collage. Ricrea, come una sorta di regista, o burattinaio, situazioni di una quotidianità surreale e metafisica. 
Anche lui raccoglie, come una sorta di archivio o catalogo umano, un infinito campionario di ritagli, texture, pezzi di giornali, riviste predate di ogni loro immagine più preziosa e accattivante che poi ricompone, come una sorta di mosaico. La rinascita sotto molteplici forme e sagome.
Mappe di pezzi raccolti, il gioco della caccia. E nascono così piccoli oggetti e piccole teste che fanno da specchio alle sue geografie bidimensionali. Di nuovo una stanza delle meraviglie dove i personaggi prendono corpo e vivono. Assurdi bouquet, teche pregiate, feticci, buratti, bambole improbabili. 

Lorenzo Scarpellini (Ravenna, 1994)

Lorenzo scopre giovanissimo il potere della carta. Della cellulosa. La recupera, la macera, ne trae quelle piccole gocce di colla ancora intrappolate tra uno strato e l’altro. È furtivo e clandestino, raccoglitore bulimico. I suoi sono corpi che provano dolore, tracce di pelli animali un po’ preistorici. Corteccia come epidermide. Fitte intercostali, superfici livide, carbonizzate che si contrappongono al bianco avorio dei suoi ossari. Reliquie amorfe.
I suoi primissimi lavori sono mossi da una sorta di inquietudine rivolta alla contemporaneità, l’Antropocene, i respiri di una terra che sta cambiando. Sensazioni che toglie poi dal disegno e dalla pittura sulla tela di juta e restituisce al nostro sguardo con fare poetico tramite la scultura in cartapesta. 
Sviluppa la sua ricerca sotto la guida sapiente di Graziano Spinosi che conosce presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna, dove svolge tutta la sua formazione. Esordisce fin da subito nella scena artistica del suo territorio e non.