Comune di Cotignola / Museo Civico Luigi Varoli
Con il contributo di
A cura di Arianna Zama
02.12.2023 – 07.01.2024
inaugurazione
sabato 2 dicembre ore 17.30
I Detective Selvaggi
Non sono una curatrice, però mi dico che prima o poi farò la pittrice (mi dico anche che ho fatto la pittrice in passato e ora ho smesso come si smette con le cattive abitudini – il fumo, l’alcol) e questo dovrebbe facilitarmi le cose nel parlare di pittura, almeno in teoria. Mi piace la pittura, le voglio molto bene. Così come voglio bene ai Signori Pittori e alle Signore Pittrici. In particolar modo a coloro che vivono l’insofferenza della provincia e che hanno fatto ritorno anche quando l’hanno odiata, a coloro che ne sono fuggiti per poi disperdersi in altre pianure più crudeli. Verso di loro più che un bene amicale provo una sorta di passione amorosa. Sì, li amo tutti molto.
Alcuni ritratti è una restituzione, a dire il vero piuttosto modesta, della cospicua collezione che la famiglia Visani ha donato al Comune di Cotignola. È una raccolta costituita principalmente da piccoli ritratti di famiglia che vanno a delineare una specie di albero genealogico, ma anche una linea del tempo – di tempi – e di spazio, inteso anche come fattore geografico. Sono opere che coprono una vita intera e raccontano di invecchiamenti e cambiamenti, i bambini diventano adolescenti, i genitori diventano nonni. Il piccolo formato delle pitture ha molto a che fare con la dimensione intima della foto-ricordo, molti i volti abbozzati sul retro di una cartolina. Nel dare un’espressione a questa Donazione (che in questi mesi ho trattato come se fosse una persona in carne ed ossa) uso quello di Assunta Visani. Chi è Assunta? Com’è fatta? Io non lo so, non ci siamo mai incontrate e questa cosa è al tempo stesso buffa e romantica. La percepisco come una specie di corrispondente immaginaria, forse è una Detective Selvaggia anche lei, come lo sono io, come lo sono loro (alle pareti). La conosco soltanto con volto di bambina, da un ritratto di Fioravante Gordini, credo abbia ancora quella faccia, anzi ne sono piuttosto sicura. Luigi, Fiore, Arialdo, Olga, Demo, Antonio e gli altri sono i miei Detective Selvaggi. Alla ricerca di qualcosa di smarrito, o forse mai esistito, nel deserto del Sonora – che del resto nel mio immaginario ricorda molto queste distese bizantine. La mostra è allora un tentativo di rimettere insieme i pezzi in maniera imperfetta ed emotiva.
Appese a queste pareti ci sono confessioni, deposizioni. Insomma una mostra di corrispondenze e molte nostalgie. Assunta vive da sempre a Roma ma è legata a Cotignola dalle sue radici e dai racconti del padre Rino, legato alla famiglia da una “doppia cuginanza”, che porterà per tutta la vita la Romagna nella Capitale grazie a memorie, cartoline e soprattutto opere d’arte. Sono dunque queste ultime a costituire il corpus di questo tributo. La collezione è arrivata a Cotignola nell’ottobre del 2022 e a quasi un anno di distanza il Museo restituisce al pubblico una parte dei circa 76 (settantasei) pezzi ricevuti. La scelta di una parentesi così ristretta gioca a favore dell’organicità della mostra poiché a costituire la collezione non sono soltanto dipinti e acquerelli, ma anche ceramiche, trofei ed effetti personali provenienti dalla quotidianità di Casa Varoli (orologi, soprammobili, stoviglie) dunque una vera e propria wunderkammer. Un taglio difficile e doloroso, che trova però una controparte nel catalogo che accompagna la mostra.Regali, felicitazioni, compleanni.Il materiale è prezioso e dolce.
Assunta, oltre alla generosa restituzione alla città di Cotignola, regala una parte di sé, della sua infanzia con un racconto degno di un diario segreto. “Mi ricordo…” è un affaccio su di uno scenario un po’ annebbiato dal tempo dove l’autrice evoca tutte le sue estati di vacanza a Cotignola, racconta della zia Ninetta (Anna Visani) che in queste righe sposta di molto il baricentro della favola. Questa volta ad essere protagonista non è Luigi Varoli, che qui diventa “Gigì”, ma è Anna – che prende tra le sue dita ossute un garofano rosso. Tuttavia la presenza di Varoli in questa mostra è fondativa. È presente come padre e maestro, come pittore, come zio acquisito. Lo sguardo sarà inevitabilmente colonizzato dai suoi volti intensi e rapaci. Nonostante la natura privata e familiare delle opere, il pennello che le ha dipinte è un pennello di fuoco, le dita che le hanno scolpite sono invece di metallo caldo. La Donazione Visani offre una parentesi ampia e completa su tutta la scuola di Luigi Varoli a Cotignola. La presenza del maestro esiste nel piccolo Autoritratto del 1929 di Olga Settembrini, una pittura incredibilmente sensuale e ctonia; e ancora nel Notturno di Aristodemo Liverani, nelle gote rosse del Ritratto di donna di Giulio Ruffini. Poi i paesaggi e le vedute. Non manca nessuno all’appello grazie allo zelo e alla ricerca di Rino Visani di ricostruire come un puzzle l’eredità artistica di Varoli.
Alcuni ritratti è un progetto integrale su questa collezione, un inventario, un archivio fotografico e anche una mostra.
Arianna Zama
Fotografie di Daniele Casadio
MI RICORDO… (estratto)
Ricordo molte cose, ma di lui – del professor Varoli – non ricordo nulla, perché ero troppo piccola. I miei ricordi sono della moglie, la zia Ninetta. Era quella zia anziana, di tutto riguardo, che si andava a trovare tante volte nel mese più caldo dell’estate.
Da quando avevo un anno, fino alla maggiore età, le mie vacanze avvenivano in agosto a Cotignola, in campagna dallo zio Giulio, fratello della mamma. In quei giorni era tutto un girare da parenti e amici per salutarli e ritrovarsi. Così andavo con i miei genitori a trovare la Ninetta, che il babbo chiamava semplicemente “Netta”.
Dopo la morte del suo caro “Gigì” noi eravamo per lei gli ultimi parenti. Si confidava molto con Rino, mio padre. Così ripeteva spesso «Perché noi siamo cugini!» e il babbo ribadiva «No Netta, non siamo cugini, noi siamo doppi cugini!». Fratello e sorella Visani si sono sposati con fratello e sorella Cortesi.
La zia era di corporatura piccola, negli ultimi anni piuttosto magra, con i capelli bianchi raccolti a crocchia dietro la testa ma sempre lucida e sorridente. Con i suoi occhi vispi non mancava mai di farmi dei complimenti – del resto rappresentavo la discendenza che lei non aveva. Ricordo questa frase in dialetto la vciaia l’è na brota bagaia. La ripeteva spesso negli ultimi tempi per riassumere, senza troppe descrizioni, i malanni che aveva, poi chiudeva la conversazione con un sorriso.
Ricordo vagamente la casa, quando ancora non c’era il palazzo nuovo e si entrava da Corso Sforza, direttamente nel giardino (che era anche un orto). Il ricordo è confuso, ma di certo era pieno di pezzi bianchi: tondi o squadrati, rotti o lavorati, tutto alla rinfusa. Da bambina ancora non capivo che quelle fossero rovine antiche. Guardando la casa, si scorgeva il pozzo a sinistra, e un glicine più a destra, con sotto un grande tavolo di pietra bianco e nascosto dalle piante in fiore, in una specie di rientranza della casa, si celava la Stele di Caio Vario. Tutto a destra, lungo il muro di confine in mattoni, un poco di orto, ma dove finiva il confine e il muro girava lungo la strada, proprio in quell’angolo c’era “lui”: il Campanone, sostenuto da una crociera di ferro, poggiata su 4 pilastrini in mattoni. Accanto crescevano arbusti e alberelli, fra cui uno di prugne nere lunghe.
Nella casa si entrava dal portone dietro al pozzo e, scostata la tenda bianca estiva, si passava all’interno con la sensazione di trovarsi quasi al buio. Le pareti erano piene di oggetti che Ninetta conservava anche se il suo Gigì era morto. Attaccata al muro vedevo sempre una fascia bianca un po’ ondulata con la scritta grande in stampatello “PIU’ CONOSCO GLI UOMINI E PIU’ AMO LE BESTIE”. Il babbo ogni volta che entravamo, mi spiegava il suo significato. A destra del tavolo nero da pranzo c’era una nicchia nella parete in cui erano collocati dei pupazzi vestiti e poco più avanti, sotto l’arco ribassato, si andava in camera da letto. Andando invece ancora avanti, si entrava in un’altra stanza molto grande, abitata da tante cose che non ricordo. Da questa, sulla sinistra, si prendeva una rampa di scale per salire al piano superiore. Qui, nello stanzone luminoso e sempre tanto ingombro da non poterci passare, c’erano anche dei violoncelli. Io non restavo qui dentro, preferivo stare di sotto o nel cortile.
Qualche volta, se c’era l’occasione di anticipare le vacanze, io andavo a luglio, a casa della zia Maria di Bagnacavallo con i miei cugini. Il 26 luglio è la festa di Sant’Anna e quindi il mio compito era quello di andare da un fioraio, a comprare un mazzo di garofani rossi. Con questo mazzo di fiori, ben confezionato, andavo a trovare la zia, per farle gli auguri di buon onomastico. Lei prendeva i fiori con le sue mani ossute e un po’ deformate. Si sedeva in poltrona e tra un discorso e un altro mi diceva che avrebbe cercato qualcuno con la macchina che il giorno dopo l’avrebbe portata al cimitero, perché quei fiori li doveva mettere sulla tomba del suo Gigì.
I ricordi che ho della zia, si legano indissolubilmente alla figura di mio padre: Barberino Visani, conosciuto da tutti come Rino. Pur essendosi trasferito a Roma, da giovane, con i fratelli, ha sempre mantenuto i contatti con la sua Cotignola. Ha sposato Valeria Tampieri e poi sono nata io. Porto il nome della nonna, Assunta Cortesi, sorella di Frontone, nonché babbo di Ninetta.
Mio padre ha raccolto e tenuto con cura e affetto i lavori di Varoli, anche perché, quasi tutti, sono ritratti di familiari o regali dello stesso Luigi. Dopo la sua morte, ha deciso di fare una raccolta di opere dei suoi allievi, quindi li ha cercati ed ha chiesto ad ognuno di loro un lavoro, anche piccolo, ma che rappresentasse la scuola di Varoli a Cotignola. Il babbo ha ricevuto dipinti e ceramiche, che con cura ha portato a Roma e ha sempre mostrato con orgoglio agli amici che frequentavano la nostra casa.
Io ho conosciuto alcuni allievi di Varoli. Una volta andammo a trovare Sante Ghinassi, il ceramista, nella sua casa lontano da Cotignola. Per dipingere usava pennelli finissimi. Molte volte invece sono andata a casa di Arialdo Magnani. Che simpatico, con quel faccione sorridente e un po’ trasandato. Mi ricordo poi di aver visto l’architetto Crispino Tabanelli, sempre in giro per Cotignola, una bella figura, alto e con gli occhiali. Sono anche andata a casa di Luciano Bassi ma, in realtà, lo ricordo più spesso a Roma, quando veniva per le gare di tiro con l’arco, insieme ad altri arcieri di Cotignola. A Roma, ho conosciuto anche Amelio Ventura, perché a volte lavorava per un convento di suore. Ma l’allievo di Varoli che ho nel cuore è Fioravante Gordini, che è stato presente nella nostra casa come uno di famiglia. Il babbo lo chiamava Fiore ed è stato per lui come un figlio e come tale gli è stato vicino fino alla fine. Molti quadri li ha dipinti a casa nostra (per motivi di spazio). Ha fatto ritratti a me e a mia madre.
Io sono Assunta Visani, ma per tutti i parenti e gli amici di Cotignola e dintorni, sono sempre Assuntina, anche adesso. Solo per la zia Ninetta, qualche volta, ero Nigret, per il colore dei miei capelli.
Assunta Visani
voce narrante: Sara Bertolucci
Aperture museo:
venerdì 16.30 – 18.30
sabato domenica e festivi 10 – 12 e 15.30 – 18.30
chiuso il 25.12.2023 e il 01.01.2024
aperto l’8.12.2023, il 26.12.2023 e il 06.01.2024 con orario festivo
Per informazioni:
0545 908810 | 320 43 64 316
museovaroli@comune.cotignola.ra.it
Ingresso gratuito
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